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MATER AMABILIS
Mostra scultorea di Giuseppe Rivadossi
Resoconto della mostra
La Fucina delle idee
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L'idea è nata dall'associazione culturale "La Fucina Delle Idee", gruppo nutrito di giovani ragazzi di Caino i quali dal 2004 operano sul nostro territorio proponendo iniziative di carattere culturale.
Dopo la notevole affluenza di pubblico ed i positivi consensi pervenuti in seguito alle ultime iniziative del gruppo, per ultima la rappresentazione teatrale di Mario Rigoni Stern "Il sergente nella neve",
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La Fucina Delle Idee ha pensato di allestire presso la canonica della Parrocchia dal 23 dicembre 2006 al 07 gennaio 2007, un'esposizione di opere d'arte contemporanea messe a disposizione dal rinomato artista navense Giuseppe Rivadossi.
Le tematiche che l'artista ha esposto attraverso le sue opere sono la Natività e la Crocefissione, concetti che sono il cardine del Cristianesimo e sui quali si fonda la religione cattolica. Quale periodo liturgico per l'esposizione e considerati i temi raffigurati dalle immagini Rivadossiane, è stato colto quello del Santo Natale, che ben si è prestato quale cornice naturale della manifestazione.
Le suggestive immagini che si sono potute osservare durante l’esposizione del Maestro Giuseppe Rivadossi assurgono alla “Mater amabilis”, che peraltro da il nome all’evento, quale madre amabile e amata.
Le figura di madre non è prettamente intesa come casa della vita, ma è considerata un rifugio per l’opera del Divino. Il concetto di mater quindi è associabile ad una custodia a sua volta custodita dall’Altissimo, quest’ultimo che sceglie di dimorare corporalmente in una madre per rendersi conoscibile e sfatare quel tabù di Dio oscuro, celato nel mondo antico.
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L’artista ci ha voluto raccontare del sentimento intimo di un’immagine femminile primaria, universale, sentita quale custodia di un doppio miracolo: il miracolo della vita e quello dell’Incarnazione.
Il linguaggio artistico è passato attraverso il legno e la creta, che sono entrambe materie “calde e viventi” che crescono con l’uomo, con la terra, con le stagioni; materie in cui è sedimentata una poesia che i manufatti rivadossiani vogliono restituire come chiarezze espressive fondamentali.
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Alla base della filosofia dell’artista vi è una rappresentazione sacrale dell’umano, che vuole ricondurre alla mente dell’osservatore, valori primari indiscutibili e puri.
Oltre all'indubbia capacità dell'artista, il gruppo ha avuto l'occasione di apprezzare la disponibilità di Rivadossi caratterizzata da una passione encomiabile, curando i minimi dettagli e prodigandoci le sue personali esperienze di vita artistica, attraverso preziosi consigli maturati nel corso di tanti anni di meritorio lavoro.
Il gruppo ringrazia sentitamente l’autore delle opere per l’entusiasmo dimostrato, la parrocchia per la disponibilità nella concessione degli spazi espositivi ed i vari sponsor che hanno sostenuto le spese di allestimento.
Alla luce dei ragguardevoli consensi, un sentito grazie è doverosamente rivolto ai visitatori, per aver premiato gli sforzi volti all’organizzazione dell’evento, condividendo un importante momento di cultura ed al tempo stesso di comunione.
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Il
Mistero
del Nascere e del Morire
di Don Fabio Peli (Parroco di Caino)
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E’
con gioia che accolgo questa iniziativa di carattere culturale ma
nello stesso tempo spirituale. Questa pubblicazione raccoglie in forma
esemplare alcune opere che possono aiutarci ad elevare il nostro spirito
oltre il visibile e a dare senso pieno e completo a tutto il nostro
vivere.
Chi di noi non si è mai posto le domande fondamentali della
vita? Da dove veniamo, dove andiamo, perchè il dolore, perché
la morte? E penso anche che molte sono state le tentate risposte;
anche l’arte ha voluto e vuole dare il suo contributo al fine
di aiutare l’uomo a meglio comprendere il grande mistero della
vita che si inserisce tra un nascere e un morire.
La vita e la morte: qui troviamo il nostro senso che in quanto cristiani
abbiamo la grazia di comprendere in forma più piena guardando
a Colui e con Lui anche a Colei che ci ha dato l’autore della
vita.
Guardiamo a Maria che nella sua maternità così misteriosa
ci presenta la bellezza della vita.
Guardiamo le figure della Madre e del Figlio attraverso le esperienze
fondamentali della loro vita mettendo così in risalto il legame
di amore che unisce le due persone dal |
punto di vista umano prima ancora che divino. Maria ideale esempio
di maternità e di aiuto per la comprensione dei misteri divini
e punto di riferimento per i problemi di tutti i giorni.
L’inizio della Vita e la fine di essa qui sulla terra ma per
aprirsi a quella che non avrà mai fine.
E’ un’ opportunità meravigliosa che ci viene offerta
al fine di approfondire sempre meglio il senso del nostro fare attraverso
queste opere che l’artista, a modo suo ma con grande forza,
ci offre; perché tutto abbia sempre più significato
nella misura in cui sarà riferito a Colui che è la Vita,
così le nostre azioni potranno trovare pienezza e speranza
o vuoto e disperazione. |
Natività
e Crocefissione:
Il Sacro Mistero nella scultura di Giuseppe Rivadossi
di Domenico Montalto (Critico d'Arte)
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«Dio
non poteva essere ovunque, perciò ha creato le madri»:
in questo proverbio ebraico c’è il riconoscimento –
intenerito e ammirato – del mistero solenne della madre, colei
che genera, che accoglie e protegge. La madre, secondo quell’antico
religioso adagio, non è solo la casa della vita ma è
essa stessa res extensa del divino Artefice, è lei stessa una
zolla del Paradiso, una capanna, un rifugio e un tetto per l’opera
dell’Eterno. Nell’evento del Natale, infatti, Egli sceglie
di dimorare corporalmente in una madre, di accettare e condividere
la nostra carne per rendersi conoscibile. Il Dio oscuro e celato del
mondo antico, greco e biblico, Colui il cui nome non poteva essere
pronunciato senza timore e tremore, s’incarna e si mostra come
figlio nelle braccia della mamma, rivelando un volto di carne in cui
ogni nato d’uomo può specchiarsi e riconoscersi, e dando
così regalità all’immagine umana. Pochissimi artisti
contemporanei hanno saputo comprendere e restituirci– come Giuseppe
Rivadossi – questo mistero di redenzione, di grazia e di bellezza.
In un’arte d’oggi che tende a eludere
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l’esistente, a negare il fattore umano con fughe nelle provocazioni
più gratuite e puerili
se non nelle fantasie più estreme e disumane,
l’opera geniale di Giuseppe Rivadossi ci ripropone ormai da
decenni, con serena e coriacea oltranza, una concezione altamente
poetica della vita e della sua realtà vera, infinita, profonda,
santa, mirabile, essenziale. Tutto il lavoro dell’artista di
Nave – sia quello costruttivo di strutture e oggetti domestici
dell’abitare, sia quello liberamente figurativo – esprime
un medesimo canto, scaturisce da una medesima coscienza della nostra
appartenenza alla gloria dell’essere; gloria che non è
riducibile alla brutalità materialista, ai capricci dello
scientismo, all’aridità della tecnologia
moderna, alla negatività del relativismo. |
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La
selva incantata di Madri e di Madonne che Rivadossi ci propone in
questa mostra – selva piccola per numero ma grandiosa per
visione e per suggestione – va guardata e letta come un’unica
sacra rappresentazione dell’umano e della sua interiorità,
come un’ostensione solenne delle nostre comuni radici, come
una poetica visualizzazione dei valori antropologici primari, indiscutibili,
non caduchi. L’arcaismo o meglio l’atavismo archetipale
del suo scolpire secondo un impianto plastico deciso, che incide
la massa con tagli secchi e perentori, che scava il blocco con profondi
solchi d’ombra, prediligendo l’impostazione frontale
e silente, ripulita d’ogni inutile teatralità di postura;
tutto ciò traduce ai nostri occhi il sentimento intimo di
un’immagine femminile primaria, universale, sentita quale
custodia di un doppio miracolo: il miracolo della vita e quello
dell’Incarnazione. I materiali stessi da cui queste sublimi
icone sono ricavate – il legno (soprattutto l’amato,
luminoso cirmolo) e la creta (che al fuoco diventa terracotta fittile)
– sono, non a caso, materie «calde» e viventi
che crescono con noi, con la terra,
con le stagioni; materie
in cui è sedimentata una nobiltà, una luce, |
una bellezza, una poesia che i manufatti rivadossiani vogliono restituire
come evidenze espressive fondamentali. Le
figure icastiche e le forme vigorose di Rivadossi – esibite
nella loro luminose superfici rosate, su un unico piano, talora
dipinte a pennello ma disinteressate a qualsivoglia leziosità
accademica, imponenti, quasi benedicenti – assurgono davvero
al rango di segni d’una rinnovata sacralità, di stele
d’una liturgia amorosa da collocare non solo nelle abitazioni
ma all’aperto, nella natura e negli spazi urbani delle città
moderne. |
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Le sue matrone dalle grandi mani che, sedute, ci mostrano il figlio,
frutto del loro corpo, spesso abbandonate in
un tenero abbraccio guancia a guancia, rivisitano secoli e secoli
d’iconografia religiosa, sprigionano dolcezza autentica senza
sdolcinature, guardando a quella lingua plastica gentile e insieme
vigorosa del crepuscolo del medioevo, alle ieratiche Vergini moscovite
dette «della Tenerezza», alle serafiche Madonne di Cimabue.
Redivivo stilnovista, Rivadossi rinserra la sua idealizzazione cristiana
della donna e la sua fede nella sacralità del Creato in immagini
femminili che sono come fortezze di senso e di bellezza. Mostrando
sè stesse i figli, queste Madri rivadossiane innalzano un loro
singolare Cantico
delle creature, celebrando quel mistero che san Francesco
d’Assisi
onorò con poesia quando «inventò» il presepio,
emblema della Natività. La
storia della Salvezza, l’opera gloriosa della redenzione, iniziano
con l’incarnazione e si compiono sul Calvario, con
la morte di Gesù in croce. Ed
è appunto il Crocifisso l’altra
immagine primaria
che
Rivadossi frequenta con instancabile dedizione, con risultati meravigliosi.
Il suo lavoro di scavo e d’intaglio è una
preghiera
solitaria
che dà voce a sentimenti collettivi
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e
attualissimi, a pensieri teologici tanto arditi quanto poetici.
Per esempio nel grande Crocifisso ligneo, un’immensa colonna
di cirmolo alpestre in cui vediamo sinotticamente riunite, come
in certe antiche croci astili, l’immagine del Cristo inchiodato
e quella della Madonna col Bambino: un’opera dolcissima e
struggente, pervasa di muto dolore, di abbandono, di somma tenerezza,
di compassione, di speranza.
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Tutt’intorno
alla croce, l’artista ha fissato sferiche pietre grezze che
evocano gli astri, la volta celeste, la palingenesi del cosmo che
accade sul Golgota.
Dai supremi exempla dell’arte
di corte ottoniana ai modi di Coppo di Marcovaldo, Rivadossi reinterpreta,
in queste sculture, la plurisecolare tipologia del Christus patiens,
del Dio
mite, vinto e dolorante, con gli occhi chiusi, che s’abbandona
alla morte presentandosi ormai reclino, con
le braccia
aperte come ad accogliere –
in un gesto eloquente, da teatro sacro medievale –
il sacrificio di sé per
noi.
Una lingua scultorea barbarica e nobile, quella
di Rivadossi: concisa, ostile al dettaglio, che ci ripresenta e
aggiorna il sempiterno salvifico mistero della croce. Quel
mistero non cupo ma solare, mirabilmente riassunto nelle strofe
latine del Pange Lingua, l’inno quaresimale scritto nel 570
per la regina Radegonda: «Crux fidelis, inter omnes arbor
una nobilis… Dulce lignum,/ Dulces clavos,/ dulce pondus sustinet».
Ecco, anche per Rivadossi la croce è, letteralmente, un albero.
Un albero da potare e modellare, scavandovi figure terragne e spirituali,
pesanti e lievi insieme; figure che sono i tesori di un artista
il quale – refrattario alle mode del mercato – seguita
a presidiare le ragioni d’una poesia autentica, tanto antica
quanto a noi vicina. figure
che sono i tesori di un artista il quale –
refrattario alle mode del mercato – seguita a presidiare le ragioni d’una poesia autentica, tanto antica quanto a noi vicina.
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Si
ringraziano per la collaborazione:
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